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martedì 13 dicembre 2011

Santa Lucia, dal nome evocatore di luce, martirizzata probabilmente a Siracusa sotto Diocleziano (c. 304), fa parte delle sette donne menzionate nel Canone Romano. Il suo culto universalmente diffuso è già testimoniato dal sec. V. Un’antifona tratta dal racconto della sua passione la saluta come «sponsa Christi». La sua «deposizione» a Siracusa il 14 dicembre è ricordata dal martirologio geronimiano (sec. VI)


Omelia  (Monaci Benedettini Silvestrini)



n popolo umile e povero

Il servizio del Signore esige prontezza e coerenza. Nel brano evangelico ci viene presentato il caso di due figli di cui il primo aderisce subito alle richieste del padre per rinnegarle un momento dopo. L'altro invece, dopo un moto di protesta all'ordine ricevuto, esegue la volontà del padre. Alla domanda chi avesse eseguito la volontà del padre, i suoi interlocutori sono costretti dire: "L'ultimo", quello cioè che in primo momento si era rifiutato. Gesù fa subito la applicazione: "Alla voce di Giovanni voi non avete creduto, mentre i pubblicati e le prostitute hanno accolto la sua voce". Non è difficile trovarvi un'allusione ai futuri eventi della Chiesa. Il popolo ebreo rinnega Cristo al quale prestano fede i popoli pagani. Si verifica così il "guai" di Sofonìa della prima lettura, i guai contro le città ribelli. Non si tratta tanto di mura quanto di abitanti che non ascoltano la voce del Signore né accettano la correzione. Ma Dio è padrone e creatore dell'uomo. Egli sceglie chi vuole perché il suo nome sia glorificato. Volge però in modo particolare il suo sguardo al povero e all'umile che ricolmerà di ogni bene, anche in premio della sua fedeltà all'alleanza. Non sarebbe fuori posto una riflessione anche più personale. Noi, cristiani, siamo i chiamati a proclamare con la nostra fedeltà il nome del Signore. Quante volte però il nostro comportamento non s'addice alla nostra dignità di Figli di Dio. La nostra fede è frenata all'indifferenza e quindi vengono a mancare i frutti. Non sarà mai che popoli nuovi, pieni di fervore, magari dalla Cina, entrino nel regno di Dio e noi ne siamo cacciati a causa della nostra incoerenza e superficialità?

domenica 11 dicembre 2011

III DOMENICA DI AVVENTO 11-12-11

Il messaggero, annunciato nel vangelo di domenica scorsa, è descritto in modo più dettagliato dall’evangelista Giovanni. Egli ci ricorda, infatti, i dialoghi che Giovanni Battista ebbe con sacerdoti e leviti, venuti da Gerusalemme per interrogarlo. Era forse il Messia? No, rispose Giovanni Battista: “ Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia ” (Gv 1,23).
Sant’Agostino commenta: “Giovanni Battista era una voce, ma in principio il Signore era il Verbo. Giovanni fu una voce per un certo tempo, ma Cristo, che in principio era il Verbo, è il Verbo per l’eternità” (Serm 293)
“ Egli - dice l’evangelista Giovanni - venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui ”. Vi sentiamo un’eco del prologo: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo ” (Gv 1,9).
Anche noi dobbiamo essere suoi testimoni (Gv 15,27) e ciò, prima di tutto, nella santità delle nostre vite perché “ mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia ” (Is 61,10).
 



Omelia (don Luciano Cantini)


Testimoniare la luce

Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce 
"la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta". Così il versetto precedente... se la luce splende ed è così evidente che le tenebre non l'hanno vinta, cosa significa "dare testimonianza" alla luce? La luce, come quella del sole e della luna, splende alta nel cielo e dà colore, forma e vita ad ogni cosa; questa luce però è scesa dall'alto per calarsi nella storia degli uomini. Non si è nascosta, ma si è mescolata in mezzo a tante ombre, si è insinuata nel basso della storia umana per ridare colore e vita ad ogni uomo. L'uomo è tanto abituato a vedere alta la luce che non riesce a riconoscere una luce caduta tanto in basso. Ecco dunque Giovanni come testimone della luce.

Io battezzo nell'acqua
Giovanni battezza nell'acqua del Giordano, luogo di passaggio dal deserto alla Terra promessa; il suo è un battesimo di conversione; un gesto semplice ed umile di chi sente il bisogno di lasciare nell'acqua le pesantezze della vita e delle relazioni, di chi si propone un nuovo ingresso nella Terra che Dio ha promesso iniziando una vita rinnovata.

«Tu, chi sei?» 
Il senso del gesto di Giovanni, stranamente, viene rivelato e reso evidente dalla domanda dei sacerdoti e leviti: «Tu, chi sei?».
Ogni uomo che inizia un percorso nuovo si pone la stessa domanda, ricerca se stesso e le proprie radici per ritrovare il senso profondo del proprio essere e del dipanare della vita.

«Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?» Gli uomini di potere (i Giudei, i sacerdoti, i leviti) non riescono a leggere l'altro se non negli stessi termini di potere; anche il battezzare è letto come una sorta di potere sugli altri. Non è comprensibile alcun gesto, alcuna parola alcun fatto che nasca dal basso. Anche di Gesù si meravigliano perché insegna come uno che ha autorià e si domandano da dove venisse tale autorità.

A lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo 
Giovanni, invece, si presenta come meno di un servo.
Ecco la testimonianza alla luce. La luce vera, quella che è venuta per illuminare il mondo si è nascosta nel gesto umile del servo: di chi si china ai piedi del prossimo per lavarli.
Non è una luce abbagliante che si proietta dall'altro, ma una luce tenue che entra dentro il cuore dell'uomo, lo illumina e lo orienta: "Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri" (Gv 13,14).

giovedì 8 dicembre 2011

IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

``Abramo concepì Isacco per la fede nella promessa di Dio “e divenne padre di molti popoli” (cf. Rm 4,18-22). Ugualmente Maria concepì Gesù per mezzo della fede. La concezione verginale di Gesù fu opera dello Spirito Santo, ma per mezzo della fede di Maria. È sempre Dio che opera, ma attraverso la collaborazione dell’uomo. Credere, infatti, è rispondere con fiducia alla parola di Dio, accogliere i suoi piani come se fossero propri e sottomettersi in obbedienza alla sua volontà per collaborarvi. La fede vuole sempre: 1) la fiducia in Dio e 2) la professione di ciò che si crede, poiché “con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” (Rm 10,10). Una volta riconosciuta vera la parola di Dio, Maria credette alla concezione verginale di Gesù e credette pure alla volontà di Dio di salvare gli uomini peccatori, la volle e aderì a quel piano lasciandosi coinvolgere: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Dalla sua fede quindi nacque Gesù e pure la Chiesa. Perciò, insieme ad Elisabetta che esclamò: “Beata colei che ha creduto all’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45), ogni generazione oggi la proclama beata (cf. Lc 1,48). La Chiesa ha il compito di continuare nel mondo la missione materna di Maria, quella di comunicare il Salvatore al mondo. Il cristiano di oggi deve fare proprio il piano di Dio “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4), proclamando la propria salvezza e lasciandosi attivamente coinvolgere nel portare la salvezza al prossimo, poiché “in questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli (Gv 15,8).


OMELIA (Monastero Janua Coeli)


La sua ombra

Tota pulchra es, Maria... parole che nei secoli hanno elevato i cuori a Maria, l'unica creatura capace di estrarre dal tuo cuore l'attrazione per il candore della vita, la nostalgia dell'innocenza interiore e il desiderio di una trasparenza senza ombre.
La festa di oggi ci riconduca sui sentieri del ritorno, il ritorno al Pane autentico, il ritorno agli affetti più santi, il ritorno a se stessi, a quella parte di sé perduta nella confusione del mondo e che reclama attenzione. Un attimo di contatto con la vita divina può rendere il tuo tempo, divorato da occupazioni e preoccupazioni, "il tempo di Dio". Non rinunciare a cercare spazi di incontro con la Madre di Dio. Ti aspetta ogni giorno. Nel suo cuore immacolato tutto ritrova il suo significato perché non viene meno la sua splendida vocazione di madre e discepola di Gesù. Lei ti porta al cielo! 


MEDITAZIONE
Domande
Entrando da lei? Più vivi nella grazia, più conosci il tuo Signore, e più è probabile che "vedi" gli angeli che ti manda. Non perdere le occasioni dello Spirito nelle tue giornate. Quante volte avverti come una chiamata a qualcosa di più, e poi la lasci cadere tra le mille cose di sempre. Fermati, ascolta, raccogli ? lì c'è una parola di Dio per te.

Chiave di lettura
C'è un tempo in cui si compiono le promesse di Dio. L'attesa trova risposta. Ed è un tempo "ordinario" che si fa "straordinario" per la sovrabbondanza del mistero di grazia. Maria è a Nazaret. Vive le sue occupazioni di sempre. Come tutti, diremmo noi. Non proprio! Lei è piena di grazia, quindi ciò che per noi è intricato, difeso, inquieto, arrabbiato in lei non c'è. La sua risposta all'amore di Dio è tale che tutto il suo sentire è ordinato a lui, lei non cerca altro che Lui, in tutte le cose, sempre. Per questo è piena di grazia! Non ne ha un po' come ne abbiamo noi, a volte di più a volte di meno. Forse perché il Signore fa discriminazioni? Tutt'altro. A tutti Lui offre Se stesso, interamente. Chi lo accoglie interamente vive di Lui e tutto vede e pensa, agisce e attende per e con Lui. Chi lo accoglie in parte si ritrova a "combattere" con quelle parti di sé che non sono pacificate nell'amore: dinamiche relazionali, dipendenze affettive, superbie e invidie ricorrenti, rancori e malintesi ? Maria è tutta di Dio, perché è piccola, si sente proveniente dall'Alto. E dall'Alto giunge a lei l'angelo. Entra da lei, non trova ostacoli o porte chiuse. La parola di incontro è semplice: Rallegrati! Il Signore è con te. Ecco il motivo di ogni gioia. Quando il Signore è con te, tu non hai da temere, puoi gioire perché Lui pensa a te, tu gli appartieni. Maria si turba perché quelle parole: piena di grazia, nascondono un mistero incredibile e sono pronunciate lì, a casa sua, per lei. L'immensità di Dio è entrata in quel suo piccolo spazio. Quando tu avverti che Dio è vicino, la trepidazione interiore si fa sentire, tutto si illumina e al tempo stesso ti nasce in cuore un santo timore, la percezione reale della sua grandezza ravvicinata. Tu hai trovato grazia, concepirai, darai alla luce, chiamerai questo tuo bambino Gesù. E lui, questo tuo figlio è il figlio dell'Altissimo, il figlio di Davide: i secoli si incontrano in quel per sempre, non avrà fine ? Maria ascolta e accoglie, non dubita, non pone condizioni. Si chiede semplicemente il come avverrà. Sa che Dio non la costringerà a qualcosa che lei non vuole. E allora? Non conosco uomo. Sarà possibile generare senza il concorso sponsale? Qui la proposta si fa ardua. Si entra pienamente nel soprannaturale che non cambia il corso umano ma lo trascende. Lo Spirito Santo, l'Amore di Dio, scendendo ti coprirà con la sua ombra. Ecco il concepimento: un abbraccio amante e pieno che avvolge e penetra di vita ogni tessuto personale. L'abbraccio divino, corrisposto pienamente da Maria, genera nel grembo la persona di Gesù. E Maria non esce dalla sua piccolezza, ma diventa per lei lo spazio privilegiato dell'incontro: Ecco la serva del Signore. Sono qui, non protagonista, ma serva. A Dio la gloria!

PREGHIERA
Nella tua volontà è la mia gioia; mai dimenticherò la tua parola. Sii buono con il tuo servo e avrò vita, custodirò la tua parola. Aprimi gli occhi perché io veda
le meraviglie della tua legge (salmo 118).

CONTEMPLAZIONE

Maria, entro anch'io da te dopo che l'angelo è tornato a Dio. Mi siedo accanto a te per respirare l'infinità e la piccolezza della divina presenza nel tuo grembo. Quel silenzio carico di parola stordisce come stordisce il tuo sì. Che io impari ad ascoltare la Parola del tuo Gesù, che io impari ad ascoltare la parola della tua vita di grazia. Nulla è impossibile a Dio! Che risuoni dentro di me come eco questa voce celeste?

Il Vangelo dei piccoli
Oggi è festa grande, la festa di una mamma straordinaria, Maria, la mamma di Gesù. Straordinaria perché il suo amore per il Signore è talmente grande che non ha detto mai un no a quello che Lui voleva. Ti capita di sentire una cosa nel tuo cuore e di dover decidere in quel momento per il sì o per il no. Alle volte c'è una specie di lotta dentro, perché non sai cosa fare, ti sembrano giuste tutte e due le cose. Dopo che hai agito, ti accorgi di cosa era meglio. Ma cosa ti permette di non dire di "no" a Gesù? Quando tu vuoi bene a una persona ti accorgi di tutto quello che le fa piacere. E di conseguenza lo fai senza dubbi. Rinunci anche a quello che piace a te, pur di far piacere a lei. Questo è il sentiero dell'amore che Gesù ci ha portato. Maria, la mamma di Gesù, ha saputo sempre riconoscere cosa faceva piacere a Dio e quando ha portato Gesù in grembo e poi lo ha cresciuto non ha mai pensato di "comandare" lei su quel bambino che aveva bisogno del suo affetto, delle sue cure. Lei doveva obbedire a Lui, pur piccolo perché era Dio fatto bambino. In apparenza piccolo, ma immenso! Il segreto per vivere come lei e per dire a Dio un sì pieno di amore è il rimanere piccoli. Se tu pensi che Dio ne sa più di te, fai quello che Lui ti chiede. Quando pensi che ne sai più tu, ti inganni perché non è una cosa vera, ti illudi e poi ti inaridisci. Quando l'angelo va da Maria per dirle che sarebbe diventata la mamma di Gesù, lei non si mette a ragionare, a portare scuse e soprattutto non comincia a dire: Io sono la mamma di Dio. Poteva farlo perché era vero. Ma rimane nella sua piccolezza e dice: Eccomi, sono la serva del Signore. Di cosa ti puoi vantare, se tutto hai ricevuto da Dio? Puoi solo essere offrire ogni giorno la tua gratitudine perché Lui ti ama e ti colma di beni. Maria è Immacolata, senza macchia perché nel suo cuore c'è stato sempre e solo amore. Più ami, più le assomigli. E Gesù è contento se assomigliamo alla sua mamma: se l'è preparata da secoli: "bellissima"!

domenica 4 dicembre 2011

II DOMENICA DI AVVENTO 4-12-11



``In confronto all’introduzione discreta nel tempo dell’Avvento avvenuta domenica scorsa, l’annuncio di oggi è spettacolare: “Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te... Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”.
Giovanni Battista fa il suo ingresso spettacolare nel mondo, vestito di peli di cammello. Le sue parole bruciano l’aria, le sue azioni frustano il vento. Predica “un battesimo di conversione per il perdono dei peccati” ed immerge i suoi discepoli nelle acque del Giordano. Il suo messaggio, pur legato a un momento della storia, è eterno. Si rivolge anche a noi. Anche noi dobbiamo preparare la strada del Signore, poiché un sentiero si spinge fino ai nostri cuori. Sfortunatamente, troppo spesso, durante l’Avvento, molte distrazioni ci ostacolano nell’accogliere, spiritualmente, il messaggio del Vangelo. Non dovremmo, invece, cercare di dedicare un po’ di tempo alla meditazione di quanto dice san Pietro: “Noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” (2Pt 3,13)?
 

Omelia (don Luciano Cantini)

Nel deserto

Voce di uno che grida nel deserto 

Marco inizia il suo vangelo presentando Giovanni il Battista come una voce che grida nel deserto. Con queste tre parole indica tutta la forza e la debolezza di Giovanni, ma di tutto il vangelo che con queste parole sta iniziando. Una voce è soltanto un suono, una vibrazione dell'aria, molto meno di una "parola" che nella bibbia indica qualcosa di concreto. Ma questa voce sta gridando, esce con forza, vuole farsi ascoltare. Si grida per rabbia o per disperazione, forse la voce del Battista è la risposta gridata ad un grido di disperazione che sale dall'umanità, un grido che non sembra avere interlocutori: è il deserto la terra vuota di nessuno.

Il vangelo inizia raccontando una storia che intreccia accoglienza e rifiuto, ascolto e sordità per giungere al culmine del mistero dell'accoglienza e del rifiuto nella Croce di Cristo: al rifiuto dell'umanità non si contrappone, ma alcontrario si coinvolge l'amore infinito del Dio Uomo.

Come sta scritto nel profeta Isaìa 

Isaia, però, dice qualcosa di diverso... il deserto, non è il luogo dell'abbandono, ma il luogo di Dio.

Geograficamente il deserto separa Babilonia dalla Palestina come il deserto separava l'Egitto dalla Terra Promessa. Attraversare il deserto per il popolo d'Israele è stato soprattutto realizzare il grande incontro con Dio. Le difficoltà che il popolo ha dovuto affrontare, i lunghi quarant'anni, hanno messo a nudo le debolezze e le false fiducie dell'uomo e rafforzato il rapporto con il Creatore. L'Esodo più che una esperienza storica è stata una grande esperienza di fede che ha coinvolto più generazioni, perché si affinasse e diventasse una realtà concreta.

Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo 

Non è una semplice immersione nell'acqua, ma l'immersione in un fuoco che divora, sconvolge, prova e vitalizza... mette in ebollizione la vita.

A volte sembra che l'umanità arranchi senza una prospettiva, si acquieti nel 'déjà vu', non sia capace di vedere come la sua vita sia appesantita ed incrostata di privilegi acquisiti da un benessere conquistato senza ulteriore speranza.

Ma nella nostra storia presente il Signore ci ha mandato chi l'esodo l'ha vissuto concretamente attraversando il mare e lasciando in esso giovani generazioni. Non possiamo e non dobbiamo leggere il fenomeno delle migrazioni come semplice fatto di necesità, un evento ineludibile della storia (da accogliere o rifiutare in base a ideologie e pregiudizi). Forse è una nuova "voce che grida" che ci chiede di ripensare alle nostre certezze, ai tanti colli da spianare e valli da colmare.

domenica 27 novembre 2011

I DOMENICA DI AVVENTO 27-11-11

L’anno B del ciclo triennale delle letture è l’anno di Marco. Eppure non si comincia dal paragrafo iniziale del suo Vangelo, che sarà oggetto di lettura nella settimana prossima: si parte dal punto in cui terminerà la penultima settimana dell’anno, con l’annuncio del ritorno di Cristo: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”.
A prima vista, ciò può sembrare strano ed illogico. Invece, nella liturgia, c’è un’estrema sottigliezza nell’effettuare il cambiamento di tono: la nostra attenzione, che nelle ultime settimane era centrata sul giudizio e sulla fine del mondo, si sposta ora sul modo di accogliere Cristo: non con paura, ma con impazienza, proprio come un servo che attende il ritorno del padrone (Mc 13,35).
In quanto preparazione al Natale, l’Avvento deve essere un tempo di attesa nella gioia. San Paolo interpreta il nostro periodo d’attesa come un tempo in cui dobbiamo testimoniare Cristo: “Nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (1Cor 1,7).
 

Omelia: (don Paul Devreux)
In questa prima domenica di Avvento, Gesù c'invita a vegliare, per essere pronti ad accoglierlo quando arriva.
Questo è un accenno al suo ritorno glorioso, alla fine dei tempi, ma devo riconoscere che è una realtà che non riesce a coinvolgermi, perché spero che il mondo andrà avanti ancora per molto tempo dopo di me, ma è comunque importante pensare che questa fine prima o poi ci sarà, perché ci ricorda che questo mondo non è un assoluto e se ci si riesce a pensare e a credere veramente, si capisce che quello che verrà dopo è più importante.
Di fatto m'interessa di più il discorso di vegliare per essere pronto quando verrà, in concomitanza con la mia morte; ma anche questo riesce poco a condizionare il mio quotidiano. Rimane però importante il fatto di pensarci, non solo perché chi pensa alla propria morte apprezza di più la vita e fa generalmente scelte più costruttive, ma anche perché, tra le tante cose che potrei fare, potrei anche morire.
Quello che invece mi interessa veramente è l'essere attento alla sua venuta oggi; questo è per me importante. Lo è perché è ciò che più di tutto può condizionare e cambiare la mia vita, partendo appunto dal quotidiano.
Cosa può impedirmi di farlo? Principalmente la paura che questa sua venuta sconvolga le mie scelte e abitudini, ma anche l'agitazione perpetua che tende a rendermi distratto.
Ogni Natale il Signore ci vuole ricordare che lui viene, e viene per essere presente nella vita di ognuno di noi. Per cogliere l'attimo della sua venuta è necessario vegliare ed essere attenti ad ogni piccolo segno di questa sua presenza, magari tramite qualche sua provvidenza, che è come un occhiolino che ci fa.
Tanti chiamano la provvidenza un caso; Einstein diceva che il caso è Dio in incognito, io dico che un caso può essere anche un caso, due casi pure, ma al terzo caso le cose si complicano e posso cominciare a dire che chi non ci fa caso è come il sordo che non vuole sentire.
La condizione per vegliare ed essere attenti all'opera e alla presenza dei Signore è la preghiera; poco importa quale. L'importante è pregare perché quando prego automaticamente lo sguardo si rivolge verso Dio, e questo è l'unico momento in cui i nostri sguardi si possono incrociare. Non posso accorgermi del suo sguardo, delle sue attenzioni, se guardo altrove, se vivo costantemente con lo sguardo rivolto al passato o al futuro e senza fermarmi mai.
Dio è presente, è nel presente; io, dove sono?

domenica 17 aprile 2011

Domenica Delle Palme



Messaggio di Papa Benedetto XVI


Cari fratelli e sorelle,
cari giovani!

Ci commuove nuovamente ogni anno, nella Domenica delle Palme, salire assieme a Gesù il monte verso il santuario, accompagnarLo lungo la via verso l’alto. In questo giorno, su tutta la faccia della terra e attraverso tutti i secoli, giovani e gente di ogni età Lo acclamano gridando: “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”
Ma che cosa facciamo veramente quando ci inseriamo in tale processione – nella schiera di coloro che insieme con Gesù salivano a Gerusalemme e Lo acclamavano come re di Israele? È qualcosa di più di una cerimonia, di una bella usanza? Ha forse a che fare con la vera realtà della nostra vita, del nostro mondo? Per trovare la risposta, dobbiamo innanzitutto chiarire che cosa Gesù stesso abbia in realtà voluto e fatto. Dopo la professione di fede, che Pietro aveva fatto a Cesarea di Filippo, nell’estremo nord della Terra Santa, Gesù si era incamminato come pellegrino verso Gerusalemme per le festività della Pasqua. È in cammino verso il tempio nella Città Santa, verso quel luogo che per Israele garantiva in modo particolare la vicinanza di Dio al suo popolo. È in cammino verso la comune festa della Pasqua, memoriale della liberazione dall’Egitto e segno della speranza nella liberazione definitiva. Egli sa che Lo aspetta una nuova Pasqua e che Egli stesso prenderà il posto degli agnelli immolati, offrendo se stesso sulla Croce. Sa che, nei doni misteriosi del pane e del vino, si donerà per sempre ai suoi, aprirà loro la porta verso una nuova via di liberazione, verso la comunione con il Dio vivente. È in cammino verso l’altezza della Croce, verso il momento dell’amore che si dona. Il termine ultimo del suo pellegrinaggio è l’altezza di Dio stesso, alla quale Egli vuole sollevare l’essere umano.
La nostra processione odierna vuole quindi essere l’immagine di qualcosa di più profondo, immagine del fatto che, insieme con Gesù, c’incamminiamo per il pellegrinaggio: per la via alta verso il Dio vivente. È di questa salita che si tratta. È il cammino a cui Gesù ci invita. Ma come possiamo noi tenere il passo in questa salita? Non oltrepassa forse le nostre forze? Sì, è al di sopra delle nostre proprie possibilità. Da sempre gli uomini sono stati ricolmi – e oggi lo sono quanto mai – del desiderio di “essere come Dio”, di raggiungere essi stessi l’altezza di Dio. In tutte le invenzioni dello spirito umano si cerca, in ultima analisi, di ottenere delle ali, per potersi elevare all’altezza dell’Essere, per diventare indipendenti, totalmente liberi, come lo è Dio. Tante cose l’umanità ha potuto realizzare: siamo in grado di volare. Possiamo vederci, ascoltarci e parlarci da un capo all’altro del mondo. E tuttavia, la forza di gravità che ci tira in basso è potente. Insieme con le nostre capacità non è cresciuto soltanto il bene. Anche le possibilità del male sono aumentate e si pongono come tempeste minacciose sopra la storia. Anche i nostri limiti sono rimasti: basti pensare alle catastrofi che in questi mesi hanno afflitto e continuano ad affliggere l’umanità.
I Padri hanno detto che l’uomo sta nel punto d’intersezione tra due campi di gravitazione. C’è anzitutto la forza di gravità che tira in basso – verso l’egoismo, verso la menzogna e verso il male; la gravità che ci abbassa e ci allontana dall’altezza di Dio. Dall’altro lato c’è la forza di gravità dell’amore di Dio: l’essere amati da Dio e la risposta del nostro amore ci attirano verso l’alto. L’uomo si trova in mezzo a questa duplice forza di gravità, e tutto dipende dallo sfuggire al campo di gravitazione del male e diventare liberi di lasciarsi totalmente attirare dalla forza di gravità di Dio, che ci rende veri, ci eleva, ci dona la vera libertà.
Dopo la liturgia della Parola, all’inizio della Preghiera eucaristica durante la quale il Signore entra in mezzo a noi, la Chiesa ci rivolge l’invito: “Sursum corda – in alto i cuori!” Secondo la concezione biblica e nella visione dei Padri, il cuore è quel centro dell’uomo in cui si uniscono l’intelletto, la volontà e il sentimento, il corpo e l’anima. Quel centro, in cui lo spirito diventa corpo e il corpo diventa spirito; in cui volontà, sentimento e intelletto si uniscono nella conoscenza di Dio e nell’amore per Lui. Questo “cuore” deve essere elevato. Ma ancora una volta: noi da soli siamo troppo deboli per sollevare il nostro cuore fino all’altezza di Dio. Non ne siamo in grado. Proprio la superbia di poterlo fare da soli ci tira verso il basso e ci allontana da Dio. Dio stesso deve tirarci in alto, ed è questo che Cristo ha iniziato sulla Croce. Egli è disceso fin nell’estrema bassezza dell’esistenza umana, per tirarci in alto verso di sé, verso il Dio vivente. Egli è diventato umile, dice oggi la seconda lettura. Soltanto così la nostra superbia poteva essere superata: l’umiltà di Dio è la forma estrema del suo amore, e questo amore umile attrae verso l’alto.
Il Salmo processionale 24, che la Chiesa ci propone come “canto di ascesa” per la liturgia di oggi, indica alcuni elementi concreti, che appartengono alla nostra ascesa e senza i quali non possiamo essere sollevati in alto: le mani innocenti, il cuore puro, il rifiuto della menzogna, la ricerca del volto di Dio. Le grandi conquiste della tecnica ci rendono liberi e sono elementi del progresso dell’umanità soltanto se sono unite a questi atteggiamenti – se le nostre mani diventano innocenti e il nostro cuore puro, se siamo in ricerca della verità, in ricerca di Dio stesso, e ci lasciamo toccare ed interpellare dal suo amore. Tutti questi elementi dell’ascesa sono efficaci soltanto se in umiltà riconosciamo che dobbiamo essere attirati verso l’alto; se abbandoniamo la superbia di volere noi stessi farci Dio. Abbiamo bisogno di Lui: Egli ci tira verso l’alto, nell’essere sorretti dalle sue mani – cioè nella fede – ci dà il giusto orientamento e la forza interiore che ci solleva in alto. Abbiamo bisogno dell’umiltà della fede che cerca il volto di Dio e si affida alla verità del suo amore.
La questione di come l’uomo possa arrivare in alto, diventare totalmente se stesso e veramente simile a Dio, ha da sempre impegnato l’umanità. È stata discussa appassionatamente dai filosofi platonici del terzo e quarto secolo. La loro domanda centrale era come trovare mezzi di purificazione, mediante i quali l’uomo potesse liberarsi dal grave peso che lo tira in basso ed ascendere all’altezza del suo vero essere, all’altezza della divinità. Sant’Agostino, nella sua ricerca della retta via, per un certo periodo ha cercato sostegno in quelle filosofie. Ma alla fine dovette riconoscere che la loro risposta non era sufficiente, che con i loro metodi egli non sarebbe giunto veramente a Dio. Disse ai loro rappresentanti: Riconoscete dunque che la forza dell’uomo e di tutte le sue purificazioni non basta per portarlo veramente all’altezza del divino, all’altezza a lui adeguata. E disse che avrebbe disperato di se stesso e dell’esistenza umana, se non avesse trovato Colui che fa ciò che noi stessi non possiamo fare; Colui che ci solleva all’altezza di Dio, nonostante la nostra miseria: Gesù Cristo che, da Dio, è disceso verso di noi e, nel suo amore crocifisso, ci prende per mano e ci conduce in alto.
Noi andiamo in pellegrinaggio con il Signore verso l’alto. Siamo in ricerca del cuore puro e delle mani innocenti, siamo in ricerca della verità, cerchiamo il volto di Dio. Manifestiamo al Signore il nostro desiderio di diventare giusti e Lo preghiamo: Attiraci Tu verso l’alto! Rendici puri! Fa’ che valga per noi la parola che cantiamo col Salmo processionale; cioè che possiamo appartenere alla generazione che cerca Dio, “che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe” (Sal 24,6). Amen.

domenica 10 aprile 2011

V Domenica di Quaresima



Cristo: risurrezione per la nostra vita



I temi delle precedenti domeniche convergono in felice sintesi nell’odierna celebrazione: Gesù, sorgente dell’acqua viva (III dom.) e della luce (IV dom.), è colui che conferisce la vita a chi crede in lui. Le tre letture sottolineano la medesima realtà: solo la forza dello Spirito fa rifiorire la speranza, scioglie i legami della morte e restituisce la vita in pienezza. L’uomo è radicalmente impotente di fronte alla forza della morte. Sintomatico è il lamento degli esiliati a Babilonia: «Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è finita» (Ez 37,11). Ma Dio rassicura il suo popolo: questi «conoscerà» il Signore, farà cioè esperienza diretta della sua potenza vivificante (cf prima lettura).


« Dalla morte alla vita... »
Il termine «vita» è un termine chiave del vangelo di Giovanni, tanto da costituirne un tema dominante. Cristo è la Vita: chi accoglie la sua Parola e aderisce alla sua Persona è in grado di spezzare il dominio della morte. Gesù lo sottolinea nella risurrezione di Lazzaro, segno profetico della sua risurrezione.
I diversi attori della scena (Marta e Maria, i discepoli, i presenti) sono condotti da Gesù a compiere il passo della fede, a riconoscere nella sua opera la rivelazione del Dio vivente. Chi ha questa fede possiede già quella vita che si manifesterà in pienezza nella risurrezione finale. Nell’attesa di essere sempre più inseriti come membra vive nel Cristo (cf oraz. dopo la com.), i fedeli invocano il «Dio e Signore della vita (che)... con i suoi sacramenti... fa passare dalla morte alla vita» (prefazio).

Battesimo: inizio della nuova creazione
Nell‘ambito dell’itinerario catecumenale, la comunità cristiana vede nella risurrezione di Lazzaro il segno profetico del mistero che si attua nel battesimo. Nella celebrazione infatti la Chiesa si rivolge al catecumeno come fa col cristiano caduto nel peccato: «Lazzaro, vieni fuori»; Cristo e la Chiesa dicono: «Scioglietelo e lasciatelo andare»; le bende del peccato cadono alla voce della Chiesa che prega con Cristo davanti all’uomo peccatore, e la sua preghiera lo rende alla vita, immergendolo nelle acque battesimali.
La risurrezione di Lazzaro è ancora segno della realizzazione della nuova creazione e della nuova alleanza promessa da Ezechiele: Gesù freme davanti alla prima creazione, piombata nel disordine, nella morte e nella dissoluzione; la sua passione, morte e risurrezione ad opera dello Spirito, lo proclamerà signore della morte e della vita. La lettura pasquale del vangelo di oggi è profetica e attuale per noi che misticamente rinasciamo nello Spirito di Cristo e perciò siamo chiamati a vivere secondo lo Spirito una esistenza nuova: morti al peccato, vivi per Dio (seconda lettura).

Una scelta per la vita
Il Dio vivente, il Signore della vita (cf Sap 11,26) ha rivelato soprattutto in Gesù la sua potenza vittoriosa sulla morte. Il battezzato è inserito in Cristo per opera dello Spirito: questa simbiosi (= vita insieme) fa del cristiano un promotore della vita. La «carne», cioè l’uomo chiuso in se stesso, ostile a Dio e sordo alle necessità dei fratelli, non può che generare la morte e affermarne il potere nefasto. Il duello vita-morte è uno scontro che sta davanti agli occhi di tutti; e si traduce in attaccamento alla vita, perché «il germe dell’eternità che (l’uomo) porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte» (GS 18). D’altra parte sembra che in pari misura l’uomo avverta un misterioso istinto di morte-distruzione. Quando ideologia, interesse, sfruttamento si trasformano in odio e violenza ci sentiamo soffocare da un’atmosfera di morte. La nostra cultura rivela la sua tragica maschera là dove la vita è umiliata e offesa: i gesti del terrorismo e della delinquenza comune, la corsa agli armamenti, l’aggravata diffusione della droga, la persistente frequenza delle morti bianche, una diffusa incoscienza nella circolazione stradale, la soppressione della vita nel seno materno, l’abbandono dell’infanzia, l’emarginazione della vecchiaia ingombrante e improduttiva. E ancora, nei rapporti interpersonali, le violenze verbali, i tradimenti dell’amore e dell’amicizia, quei sordi rancori che sono veri attentati alla vita.
I battezzati, radicati in Cristo Vita nel mondo, devono farsi promotori di vita. Con le loro scelte positive contribuiscono, nell’immenso cantiere umano, a spingere la storia verso cieli nuovi e terre nuove. Se la nostra civiltà sembra un’accelerazione verso la decadenza e la dissoluzione, la speranza cristiana afferma la possibilità di un mondo nuovo perché la potenza di Dio si è rivelata vincitrice in Cristo. L’Eucaristia, che è celebrazione di una Vita fatta dono, diventa forza di risurrezione se il cristiano ne assimila i contenuti: farsi, come Cristo, pane spezzato per la vita del mondo.
  
Celebriamo la vicina festa del Signore con autenticità di fede
Dalle «Lettere pasquali» di sant'Atanasio, vescovo (Lett. 14, 1-2; PG 26, 1419-1420)

Il Verbo, Cristo Signore, datosi a noi interamente ci fa dono della sua visita. Egli promette di restarci ininterrottamente vicino. Per questo dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).

Egli è pastore, sommo sacerdote, via e porta e come tale si rende presente nella celebrazione della solennità. Viene fra noi colui che era atteso, colui del quale san Paolo dice: «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (1 Cor 5, 7). Si verifica anche ciò che dice il salmista: O mia esultanza, liberami da coloro che mi circondano (cfr. Sal 31, 7). Vera esultanza e vera solennità è quella che libera dai mali. Per conseguire questo bene ognuno si comporti santamente e dentro di sé mediti nella pace e nel timore di Dio.
Così facevano anche i santi. Mentre erano in vita si sentivano nella gioia come in una continua festa. Uno di essi, il beato Davide, si alzava di notte non una volta sola ma sette volte e con la preghiera si rendeva propizio Dio. Un altro, il grande Mosè, esultava con inni, cantava lodi per la vittoria riportata sul faraone e su coloro che avevano oppresso gli Ebrei. E altri ancora, con gioia incessante attendevano al culto sacro, come Samuele ed il profeta Elia.
Per questo loro stile di vita essi raggiunsero la libertà e ora fanno festa in cielo. Ripensano con gioia al loro pellegrinaggio terreno, capaci ormai di distinguere ciò che era figura e ciò che è divenuto finalmente realtà.
Per prepararci, come si conviene, alla grande solennità che cosa dobbiamo fare? Chi dobbiamo seguire come guida? Nessun altro certamente, o miei cari, se non colui che voi stessi chiamate, come me, «Nostro Signore Gesù Cristo». Egli per l'appunto dice: «Io sono la via» (Gv 14, 6). Egli è colui che, al dire di san Giovanni, «toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29). Egli purifica le nostre anime, come afferma il profeta Geremia: «Fermatevi nelle strade e guardate, e state attenti a quale sia la via buona, e in essa troverete la rigenerazione delle vostre anime» (cfr. Ger 6, 16).
Un tempo era il sangue dei capri e la cenere di un vitello ad aspergere quanti erano immondi. Serviva però solo a purificare il corpo. Ora invece, per la grazia del Verbo di Dio, ognuno viene purificato in modo completo nello spirito.
Se seguiremo Cristo potremo sentirci già ora negli altri della Gerusalemme celeste e anticipare e pregustare anche la festa eterna. Così fecero gli apostoli, costituiti maestri della grazia per i loro coetanei ed anche per noi. Essi non fecero che seguire il Salvatore: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito »(Mt 19, 27).
Seguiamo anche noi il Signore, cioè imitiamolo, e così avremo trovato il modo di celebrare la festa non soltanto esteriormente, ma nella maniera più fattiva, cioè non solo con le parole, ma anche con le opere.

domenica 3 aprile 2011

IV Domenica di Quaresima



Cristo: luce per le nostre tenebre

Quando nasce un bambino, con felice espressione si dice che «è venuto alla luce». Solo questo passaggio permette la continuità della vita. Quando un uomo muore si dice che «si è spento». E’ significativo che il linguaggio comune identifichi la vita con la luce e la morte con la tenebra. Luce e tenebre esprimono simbolicamente la condizione umana nelle sue contraddizioni: non solo vita-morte, ma anche verità-menzogna, giustizia-ingiustizia. Lo stesso avvicendarsi cosmico del giorno e della notte sta ad indicare la fondamentale importanza del rapporto luce-tenebra: avvolto nella tenebra il mondo perde la sua consistenza, le cose non hanno contorno né colore, l’uomo è cieco, inerte, afferrato da un senso acuto di solitudine, di smarrimento, di paura. Il primo bagliore risveglia la vita, la gioia e la speranza.

Dalle tenebre alla luce
Luce e tenebre sono poste di fronte nel brano evangelico. Un uomo colpito da irrimediabile cecità, ai margini della considerazione sociale e religiosa: è la personificazione simbolica della condizione di peccato in cui si trova l’uomo non ancora «illuminato» da Cristo. Solo l’incontro con Cristo — Luce del mondo, Luce «che illumina ogni uomo» (Gv 1,9) — toglie il velo dagli occhi, riabilita l’uomo, lo restituisce alla sua piena dignità, gli permette di cogliere lo splendore delle cose e il sapore nuovo della vita.
Il racconto evangelico del «cieco nato» è stato sempre interpretato in prospettiva battesimale. Il battesimo è la nostra piscina di Siloe, il passaggio dalle tenebre alla luce, il momento dell’illuminazione. Fin dai tempi apostolici il battezzato era chiamato «illuminato» (cf Eb 6,4; 10,32), appellativo che esprimeva la sua nuova condizione. Aderire a Cristo-Luce è acquisire la capacità di vedere la realtà di Dio, il mistero dell’uomo e della storia con occhi nuovi; è acquisire una mentalità di fede, assumendo come criterio di valutazione e di scelta la logica del vangelo. Il battezzato è entrato nella zona luminosa di Cristo-Luce che lo porta «a vedere la storia come Lui, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo» (Il rinnovamento della catechesi, 38; cf Catechesi tradendae, 20). Questo obiettivo, però, non è mai totalmente compiuto. Permangono sempre zone d’ombra, di impermeabilità alla luce. Lo spessore opaco della storia, gli avvenimenti drammatici in cui il cristiano è coinvolto, i miraggi del benessere possono ridurre la luce a lucignolo fumigante.
Tanto più che la fede porta allo scontro con lo spirito e la logica del mondo. La storia del cieco nato è eloquente in proposito: i genitori temono l’impatto con i detentori del potere, sono paralizzati dalla paura dei Giudei e delle loro sanzioni; il figlio invece diventa audace e provocatorio nei confronti dei suoi ottusi interlocutori che, nella loro presunzione, diventano i veri ciechi.

« Comportatevi come i figli della luce »
Eletti da Dio in modo assolutamente gratuito, i battezzati ricevono la consacrazione regale dello Spirito che permea tutto l’essere (cf  prima lettura) e conferisce l’illuminazione della fede. L’assemblea esprime così la consapevolezza di questa realtà: «Nel mistero della... incarnazione (Cristo) si è fatto guida dell’uomo che camminava nelle tenebre, per condurlo alla grande luce della fede» (prefazio). «Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce...» (seconda lettura). Il passaggio di condizione implica il dovere di rendere visibile nella vita la novità operata dal battesimo. La stessa celebrazione eucaristica è nuova illuminazione perché comunione vitale con Colui che è la Luce: «... sono andato, mi sono lavato, ho acquistato la vista...» (ant. di comunione). Essere luce nel Signore significa anche essere fonte di luce, produrre quei frutti che Paolo identifica «in ogni bontà, giustizia e verità» (seconda lettura).

Quale presenza?

In un mondo in cui violenza, conflitto, rivalità e menzogna sembrano avere il sopravvento, la presenza dei cristiani pone una forza di segno contrario che diventa accusa di queste opere di morte. La bontà è vita di amore, accoglienza, disponibilità, perdono; la giustizia è onestà, rettitudine, apertura alla volontà del Signore; la verità è adesione al Vangelo e ai suoi criteri, possibilità di essere liberi dalla menzogna del peccato e dalla sua schiavitù. Le tenebre sono incapaci di «produrre», possono soltanto «operare», ma la loro opera è sterile.
La famiglia e la comunità cristiana sono davvero luoghi in cui si manifesta la luce, in cui si educa alla fede e ai suoi valori? Se la Parola del Signore ci accusa, essa ci aiuta anche a riprendere consapevolezza di ciò che siamo e di ciò che dovremmo essere.
 

 
Cristo è via alla luce, alla verità, alla vita
Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Tratt. 34, 8-9; CCL 36, 315-316)

Il Signore in maniera concisa ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12), e con queste parole comanda una cosa e ne promette un'altra. Cerchiamo, dunque, di eseguire ciò che comanda, perché altrimenti saremmo impudenti e sfacciati nell'esigere quanto ha promesso, senza dire che, nel giudizio, ci sentiremmo rinfacciare: Hai fatto ciò che ti ho comandato, per poter ora chiedere ciò che ti ho promesso? Che cosa, dunque, hai comandato, o Signore nostro Dio? Ti risponderà: Che tu mi segua.
Hai domandato un consiglio di vita. Di quale vita, se non di quella di cui è stato detto: «E' in te la sorgente della vita»? (Sal 35, 10).
Dunque mettiamoci subito all'opera, seguiamo il Signore: spezziamo le catene che ci impediscono di seguirlo. Ma chi potrà spezzare tali catene, se non ci aiuta colui al quale fu detto: «Hai spezzato le mie catene»? (Sal 115, 16). Di lui un altro salmo dice: «Il Signore libera i prigionieri, il Signore rialza chi è caduto»(Sal 145, 7. 8).
Che cosa seguono quelli che sono stati liberati e rialzati, se non la luce dalla quale si sentono dire: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre»? (Gv 8, 12). Si, perché il Signore illumina i ciechi. O fratelli, ora i nostri occhi sono curati con il collirio della fede. Prima, infatti, mescolò la sua saliva con la terra, per ungere colui che era nato cieco. Anche noi siamo nati ciechi da Adamo e abbiamo bisogno di essere illuminati da lui. Egli mescolò la saliva con la terra: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Mescolò la saliva con la terra, perché era già stato predetto: «La verità germoglierà dalla terra» Sal 84, 12) ed egli dice: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).
Godremo della verità, quando la vedremo faccia a faccia, perché anche questo ci viene promesso. Chi oserebbe, infatti, sperare ciò che Dio non si fosse degnato o di promettere o di dare?
Vedremo faccia a faccia. L'Apostolo dice: Ora conosciamo in modo imperfetto; ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia (cfr. 1 Core 13, 12). E l'apostolo Giovanni nella sua lettera aggiunge: «Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2). Questa è la grande promessa.
Se lo ami, seguilo. Tu dici: Lo amo, ma per quale via devo seguirlo? Se il Signore tuo Dio ti avesse detto: Io sono la verità e la vita, tu, desiderando la verità e bramando la vita, cercheresti di sicuro la via per arrivare all'una e all'altra. Diresti a te stesso: gran cosa è la verità, gran bene è la vita: oh! se fosse possibile all'anima mia trovare il mezzo per arrivarci!
Tu cerchi la via? Ascolta il Signore che ti dice in primo luogo: Io sono la via. Prima di dirti dove devi andare, ha premesso per dove devi passare: «Io sono», disse «la via»! La via per arrivare dove? Alla verità e alla vita. Prima ti indica la via da prendere, poi il termine dove vuoi arrivare. «Io sono la via, Io sono la verità, Io sono la vita». Rimanendo presso il Padre, era verità e vita; rivestendosi della nostra carne, è diventato la via.
Non ti vien detto: devi affaticarti a cercare la via per arrivare alla verità e alla vita; non ti vien detto questo. Pigro, alzati! La via stessa è venuta a te e ti ha svegliato dal sonno, se pure ti ha svegliato. Alzati e cammina!
Forse tu cerchi di camminare, ma non puoi perché ti dolgono i piedi. Per qual motivo ti dolgono? Perché hanno dovuto percorrere i duri sentieri imposti dai tuoi tirannici egoismi? Ma il Verbo di Dio ha guarito anche gli zoppi.
Tu replichi: Si, ho i piedi sani, ma non vedo la strada. Ebbene, sappi che egli ha illuminato perfino i ciechi.

domenica 27 marzo 2011

III Domenica di Quaresima

Cristo: acqua per la nostra sete


Vivere da cristiani è assimilare progressivamente l’esperienza di Cristo sintetizzata nelle prime due domeniche di quaresima: camminare nella fedeltà al Padre per raggiungere la meta della trasfigurazione gloriosa. L’itinerario è reso possibile a una condizione: ascoltare la Parola di Dio, radicarsi in essa, accettarne le esigenze. La liturgia di questa domenica e delle due successive fa rivivere, nel mistero, al cristiano le grandi tappe attraverso cui i catecumeni erano (e sono) aiutati a scoprire le esigenze profonde della conversione a Cristo, nei segni dell’acqua, della luce, della vita.
L’uomo assetato di valori
Al centro della liturgia odierna sta l’acqua come punto di convergenza e di incontro di due interlocutori: l’uomo e Dio. L’acqua diventa il simbolo che compendia ed esprime la richiesta dell’uomo e la risposta di Dio (vangelo).
L’esistenza umana rivela aspirazioni sconfinate: sete di amore, ricerca della verità, sete di giustizia, di libertà, di comunione, di pace... Sono desideri spesso inappagati; la domanda di totalità riceve in risposta solo piccoli frammenti; piccoli sorsi che lasciano inappagata la sete. Dal profondo del suo essere l’uomo muove verso un «di più», un assoluto capace di acquietare e di estinguere la sua sete in modo definitivo. Ma dove trovare un’acqua che plachi ogni inquietudine e appaghi ogni desiderio?


L’acqua che disseta per sempre
La risposta è data da Gesù nell’incontro con la Samaritana. Nella tradizione biblica Dio stesso è la fonte dell’acqua viva. Allontanarsi da Lui e dalla sua Legge é conoscere la peggiore siccità (cf Ger 2,12-13; 17,13). Nel difficile cammino verso la libertà Israele, arso dalla sete, tenta Dio, esige il suo intervento come un diritto e contesta l’operato di Mosè che sembra il responsabile di un’avventura senza sbocchi. Il popolo rimpiange il passato e rifiuta il futuro, denunciato come illusorio. Vorrebbe
impadronirsi di Dio per sciogliere in modo miracolistico le sue difficoltà (prima lettura). Ma Dio si sottrae a questo tipo di richiesta. Tuttavia Egli dà prova di non abbandonare il suo popolo: gli assicura l’acqua che disseta perché riconosca in Lui il Salvatore e impari ad affidarsi a Lui.
La roccia da cui Mosè fa scaturire l’acqua è segno della Provvidenza divina che segue il suo popolo e gli dà vita. Paolo spiegherà (cf I Cor 10,4) che quella roccia era Cristo, misteriosamente all’opera già in quegli eventi. Cristo è anche il Tempio dal quale, secondo la visione dei profeti (cf Ez 47; Zc 13,1), sgorgherà l’acqua, segno dello Spirito, che dona fertilità e vita. Chi ha sete può attingere gratuitamente a Lui (cf Gv 7,37-39) e non avrà più sete; egli stesso anzi, diverrà una sorgente d’acqua zampillante per sempre (vangelo).


Generati dall’acqua e dallo
Spirito
La promessa dell’acqua viva è divenuta realtà nella Pasqua di Gesù; dal suo costato squarciato sono usciti «sangue ed acqua» (cf Gv 19,34). La persona di Gesù diventa la sorgente da cui scaturisce l’acqua dello Spirito, cioè l’amore di Dio riversato nei nostri cuori (seconda lettura) nel giorno del battesimo. E’ questo amore che ci ha purificati e generati a vita nuova prima ancora che potessimo consapevolmente rispondere. Il Padre ci ha ammessi alla comunione con Lui. Per opera dello Spirito siamo diventati una sola cosa con Cristo, figli nel Figlio, veri adoratori del Padre. L’esistenza cristiana animata dallo Spirito è un’esperienza filiale. Non è altro che vivere nell’amore, irradiando ciò che abbiamo ricevuto. L’eucaristia è accostarsi alla fonte dell’acqua viva per ricevere la piena effusione dello Spirito, l’alimento sempre nuovo dell’amore: «Chi beve dell’acqua che io gli darò... avrà in sé una sorgente che zampilla fino alla vita eterna» (ant. di com.). Ma il dono ricevuto diventa compito di annuncio e di testimonianza. Come la Samaritana, bisogna raccontare ai fratelli ciò che Dio ha compiuto in noi perché essi, come i compaesani della donna, arrivino a confessare che Gesù è «il Salvatore del mondo». La fede deve diventare contagiosa. I battezzati, generati a vita nuova, radicalmente rinnovati nel cuore e nello spirito, devono rendere ragione della vita e della speranza che è in loro. Se la ricerca e la sete dell’uomo trovano in Cristo pieno appagamento è necessario testimoniare come la salvezza non sta nelle «cose» che accendono nuovi desideri ed inquietudini, ma nell’unico valore a cui abbiamo aderito: Gesù Salvatore dell’uomo. Non c’è altra acqua che faccia fiorire il nostro deserto e che definitivamente plachi il nostro cercare: «Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in te» (s. Agostino).

domenica 20 marzo 2011

II Domenica di Quaresima



Dal Vangelo secondo Matteo (17,1-9)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro mosse e Delia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse Gesù: "Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè* e una per Elia*". Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: "questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo".
All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li tocco e disse: "Alzatevi e non temete". Alzando gli occhi non videro più  nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal Monte, Gesù ordinò loro: "Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dei morti".


Spunti di riflessione

Cristo dopo aver dato ai discepoli l’annunzio della sua morte, sul santo monte manifestò la sua gloria, e, chiamando a testimoni la legge (cioè Mosè: 10 comandamenti) e i profeti (Elia), indicò agli apostoli che solo attraverso la passione possiamo giungere con lui al trionfo della risurrezione. In questa prospettiva si fa chiaro come il racconto della trasfigurazione è un aiuto a comprendere meglio il cammino quaresimale ed a viverlo autenticamente. Matteo rileva che lo splendore del volto di Gesù trasfigurato è come quello del sole e il candore delle sue vesti come quello della luce. Accanto a Gesù trasfigurato appaiono due personaggi: Mosè ed Elia: il primo, il rappresentante della legge; il secondo il rappresentante dei profeti che hanno parlato in nome di Dio. Essi sono accanto a Gesù per confermare la sua identità. Conversano con Lui. Matteo non precisa l’oggetto della conversazione. L’evangelista Luca ci offre un’informazione interessante notando che essi “parlavano della dipartita che Gesù avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (Lc 9,31) e quindi della sua morte in croce. La trasfigurazione prepara la passione ed è la conferma delle profezie di Gesù concernenti la sua passione. Egli muore per entrare nella luce della risurrezione. Gli apostoli, imbevuti di attese di un messia glorioso, non lo comprendono ancora a pieno. L’intervento di Pietro ne è la prova. Da qui il suo desiderio di volere fare tre tende: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia».Le tre tende di cui egli parla rivelano implicitamente il significato che gli apostoli danno alla scena della trasfigurazione: l’instaurazione di una felicità messianica terrena.
Proprio per dissipare ogni equivoco interviene l’apparizione della nube luminosa che ricopre i tre apostoli e la voce del Padre che proclama:
"Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo".
E’ la stessa dichiarazione divina fatta durante il battesimo di Gesù nel Giordano (cf Mt 3,16-17). Adesso essa è rivolta ai discepoli con l’aggiunta del comando di “ascoltarlo”. La dichiarazione divina invita a riconoscere in Gesù il messia atteso, il Figlio di Dio.
L’evangelista Matteo vuole sottolineare che Gesù in quanto Figlio amato e servo umile fedele porta a compimento la legge e i profeti (cf Mt 5,17) e che ormai Egli solamente è il legislatore e il profeta. Mose ed Elia rassegnano le loro dimissioni e i loro poteri nelle sue mani. La trasfigurazione solleva il velo sul mistero di Gesù, ma svela anche il destino del discepolo di Gesù. La vita del discepolo è come quella del maestro, incamminata verso la croce e verso la risurrezione. E’ un destino da vivere nella convinzione che ogni sofferenza, ogni lotta per rimanere fedeli a Gesù sfocia nella gloria, nella gioia della risurrezione. Tutto ciò che è sofferenza, croce e apparentemente sconfitta sul piano esistenziale viene trasfigurato; significativo è quanto diceva San Francesco d’Assisi: “ciò che era amaro mi fu cambiato in dolcezza”.
Decisiva è la voce che risuona come invito perentorio “Ascoltatelo”. Ascoltare Gesù significa accoglierlo, aderire al suo messaggio, seguirlo con impegno e con gioiosa costanza ogni giorno.
Il tempo della Quaresima è un tempo privilegiato in cui dobbiamo chiederci seriamente e sinceramente se veramente ascoltiamo Gesù, se siamo a lui effettivamente fedeli.
La trasfigurazione di Gesù ci fa comprendere anche che il cammino quaresimale assume il suo significato più autentico se esso è vivificato dalla preghiera. La “trasfigurazione” della nostra vita si può realizzare solamente alla luce della preghiera. Dio soltanto può darci la forza per camminare verso la “novità” della Pasqua, per prepararci interiormente alla sua celebrazione.

sabato 19 marzo 2011

San Giuseppe per le vie di Motta!



















W San Giuseppe!



A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione, ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio, dopo quello della tua santissima sposa. Per, quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all'Immacolata Vergine Maria, Madre di Dio, e per l'amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo Sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni. Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l'eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l'eterna beatitudine in cielo.


AMEN.

giovedì 17 marzo 2011

Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato.

Lc  4,1-13
In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Per la prima domenica di Quaresima, la chiesa ci offre, per la liturgia, il brano conosciuto come le tentazioni di Gesù. Il brano è dal vangelo di Luca, capitolo 4, 1-13.
Per comprendere bene quello che l’evangelista ci vuole presentare dovremmo abbandonare il termine “tentazione”, perché per “tentazione” si intende qualcosa che incita al male, al peccato; invece, qui, nulla di tutto questo. Il diavolo, lo vedremo, non si presenta come un avversario che tenta Gesù al male, al peccato, ma come un suo collaboratore, un fidato collaboratore, che gli consiglia – e si mette a sua disposizione – tutti i mezzi per affermarsi come messia.
Vediamo il testo. “Gesù, pieno di Spirito Santo”, è dopo il battesimo e ha ricevuto lo Spirito, cioè la forza, la capacità d’amore di Dio, “si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto”. Perché nel deserto? Luca pone tutta al sua opera sotto la direttiva dell’esodo di Gesù. C’era stato un antico esodo, quello in cui gli ebrei erano stati liberati da Mosè, dalla schiavitù egiziana per entrare nella terra promessa. Ora la terra promessa è diventata terra di schiavitù dalla quale Gesù deve uscire, portando dietro di sé la gente per liberarla.
“Per quaranta giorni”, i numeri nella Scrittura hanno sempre valore figurato, mai matematico, aritmetico. Il numero quaranta indica ‘una generazione’. Quello che l’evangelista ci vuole presentare, come del resto gli altri evangelisti, non è un periodo di tempo limitato nella vita di Gesù in cui Gesù ha vinto, in questa gara contro il diavolo e poi dopo è tutto a posto. No, l’evangelista ci dice che tutta la vita di Gesù è stata sotto l’insegna di queste tentazioni, o meglio di queste seduzioni.
Quindi, tutta la vita di Gesù, rappresentata da questo numero ‘quaranta’.
“Tentato dal diavolo”, chi è il diavolo? Se Dio è amore che si mette a servizio, il diavolo è immagine del potere che toglie. “Non mangiò nulla”, qui non si tratta di digiuno; l’evangelista evita il termine digiuno per non far pensare che Gesù abbia praticato il digiuno religioso, ma dice che “non mangiò nulla in quei giorni”.
“Ma quando furono terminati, ebbe fame”, ma non è una fame fisica. La fame di Gesù è qualcosa di più. Gesù dirà più avanti, al momento della sua passione, “ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché non la mangerò più finché essa non si compia nel Regno di Dio”.
Quindi la fame di Gesù, l’uomo pieno di Spirito Santo, è di manifestare questo Spirito attraverso il dono totale di sé, la pienezza della sua missione. Ecco allora che sopraggiunge il diavolo, che, ripeto, non viene come un avversario, ma come un collaboratore, anzi, un fidato collaboratore.
“Allora il diavolo gli disse «Se tu sei il Figlio di Dio»”, attenzione, il diavolo non mette in dubbio la figliolanza di Dio, anzi, ma dice “giacché sei il Figlio di Dio”, questo è il significato, cioè “sei il Figlio di Dio, usa le tue capacità a tuo vantaggio”, «dì a questa pietra che diventi pane»”. C’è qui un’eco di quello che più volte verrà ripetuto a Gesù durante la sua esistenza, per questo dicevamo che non sono un periodo limitato di tempo, ma è tutta la vita di Gesù, all’insegna di queste tentazioni.
Quando Gesù a Nazareth predica in una sinagoga, la gente gli dirà “medico cura te stesso”, o più ancora, quando, appeso già alla croce i capi gli diranno “ha salvato gli altri, salvi se stesso se è il Cristo di Dio”. Ecco la stessa tentazione: giacché sei il Figlio di Dio usa le tue capacità per te. “Giacché è il Cristo di Dio, l’unto di Dio, usi le sue forze per salvarsi”.
Quindi la prima tentazione è usare a proprio vantaggio le sue capacità. E Gesù risponde con un brano preso dal Libro del Deuteronomio, «Non di solo pane vivrà l’uomo»”, quindi c’è qualcosa di più importante.
La seconda seduzione, “il diavolo lo condusse in alto”,’in alto’ è un espressione che indica la sfera divina, quindi gli offre la condizione divina, “e gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria perché a me è stata data e io la do a chi voglio»”. La denuncia dell’evangelista è drammatica, non è Dio, ma è il diavolo colui che conferisce il potere e la ricchezza. Potere e gloria sono del diavolo e lui le da a chi vuole.
C’è un’unica condizione, “«Se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo»”. Il potere, la ricchezza, la gloria sono del diavolo, e il diavolo è disposto a darli perfino a Gesù, perché? Fintanto che ci sarà potere ci sarà ingiustizia e non potrà realizzarsi il Regno di Dio. Quindi il diavolo sta tentando, sta seducendo Gesù con la presa del potere che è il vero peccato di idolatria: usare il potere per affermare il Regno di Dio. Il Regno di Dio non si afferma con il potere, ma con l’amore.
Gesù gli risponde, sempre prendendo una frase dal Libro del Deuteronomio, «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”», cioè l’incompatibilità tra Dio e il potere, tra l’amore che si fa servizio e il dominio. Incompatibilità assoluta.
L’ultima carta che ha il diavolo è quella di portarlo nella città santa, a Gerusalemme, e lo mette addirittura sul punto più alto del tempio e, mentre con questa nuova seduzione ripete “Giacché, se sei il Figlio di Dio”, abbiamo notato che in quella di mezzo non gliel’ha proposta. La tentazione del potere e della ricchezza non è importante rivolgerla a uno perché è Figlio di Dio, perché è una tentazione alla quale – e il diavolo lo sa – ogni uomo (religioso o no) soccombe.
Alla tentazione della ricchezza e del potere pochi riescono a resistere. E qui invece di nuovo dice «Giacché sei il Figlio di Dio, gettati giù»cioè fa’ un segno spettacolare, straordinario, delle tue capacità così il popolo ti crederà. E qui il diavolo sembra un esperto dottore della legge, infatti cita il Salmo 91, due versetti, “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”».
Quindi qui l’evangelista fa comprendere che, sotto la figura di questo diavolo, si nascondono in realtà i dottori della legge che tenteranno Gesù. E Gesù mette fine alla disputa. “Gli rispose: È stato detto: “Non metterai alla prova», cioè esattamente ‘non tenterai’, « il Signore Dio tuo”».
E, di nuovo cintando il Libro del Deuteronomio, Gesù afferma la piena fiducia nel Padre. “Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato”. Qual è questo momento fissato? Nel Vangelo c’è un punto ben preciso, al Capitolo 10, versetto25, quando sarà proprio un dottore della legge colui che tenterà Gesù.
Il verbo “tentare” riapparirà di nuovo; quindi queste tentazioni non sono un episodio isolato della vita di Gesù, ma tutta l’esistenza di Gesù è stata sotto il segno della tentazione, della seduzione, di prendere il potere e la ricchezza per affermare il Regno di Dio. Ma Gesù ha rifiutato assolutamente.